IL PROGETTO- Gabriele Gandelli
L’AVVIO DEL PROGETTO
Abbiamo chiesto a tutti i soci di Visioneroma di predisporre un paio di cartelle che condensino le problematiche che dovremmo affrontare e le eventuali soluzioni da adottare, nel tentativo di elaborare una proposta di sintesi di Visioneroma e proporre una o più soluzioni, per giungere ad un appuntamento autunnale aperto.
Alcuni hanno già risposto, certuni integrando, su nostra richiesta, il loro documento, altri lo stanno predisponendo e ce lo invieranno nelle prossime ore.
Abbiamo aperto questo spazio in cui saranno riportati i vari documenti suddivisi, ove possibile, per tematica, in quanto spesso le varie tematiche si sovrappongono.
Nel sito saranno visibili contributi e sintesi.
Ogni contributo sarà aperto da una mia introduzione che ha lo scopo di raccordare ogni documento al progetto generale che vogliamo costruire.
Sarà possibile inviare commenti in merito al documento (da inviare a visioneroma@libero.it) in modo che si apra un dibattito sincero e costruttivo per giungere ad una completa definizione.
Si terrà conto anche di quanto indicato nelle relazioni, contributi esterni e nei vari forum che si sono tenuti e che si terranno.
Cercheremo di coordinare il tutto affinché sia efficace cercando tutti insieme di giungere a delle conclusioni valide per predisporre uno o più progetti conclusivi da presentare pubblicamente in rete e (quando la situazione generale lo consentirà) da illustrare in un futuro incontro pubblico .
IL PROGETTO
L’invito a costruire un progetto individuando alcune problematiche della nostra città e le soluzioni da adottare è stato raccolto da molti soci. Sono giunti diversi documenti, altri sono in via di compimento e nei prossimi giorni saranno pubblicati. Siamo soddisfatti del lavoro che si sta compiendo. Si sta definendo un quadro di interventi concreti ed innovativi, nell’obiettivo di dare soluzioni a problemi e criticità della nostra città. Le nostre proposte una volta completate e perfezionate saranno presentate, in un appuntamento autunnale, alle forze politiche, alle altre realtà associative e ai cittadini romani.
Illustro in estrema sintesi, alcuni progetti, nei prossimi giorni seguiranno ulteriori schede riassuntive sia sulle stesse tematiche che sulle parti in elaborazione (urbanistica, assetti istituzionali ecc.).
Invitiamo i soci, i simpatizzanti e tutti gli amici a commentarli, facendo osservazioni e arricchendoli con le loro idee.
Ricordiamo a tutti che per scrivere le proprie osservazioni sul sito si dovranno registrare. Ci aspettiamo una notevole partecipazione, volta ad aiutarci a costruire il progetto di Visioneroma affinché diventi il programma di noi tutti.
RIPORTIAMO UNA PRIMA SINTESI DEI CONTRIBUTI AVUTI
Il Progetto
SOCIALE
Introdurre una rete di Coordinamento Centralizzato a livello Comunale prevedendo il censimento dei fornitori e delle risorse da distribuire, determinando criteri di intervento e di svolgimento delle attività assistenziali, stabilendo standard di qualità nell’erogazione dei Servizi, criteri di azione e di controllo affidando ai Municipi il supporto ed il controllo delle attività di Assistenza sui vari territori, coinvolgendo le organizzazioni impegnate sul fronte della carità e del volontariato, e coinvolgendo nel volontariato gli studenti, mediante accordi mirati con le Scuole del territorio, in favore di un’utenza che dovrà essere, a sua volta, censita e nel contempo supportata anche sul piano socio-sanitario (in raccordo con le ASL).
Importante inoltre la presenza di una struttura di sorveglianza di polizia municipale. anch’essa collegata in rete.
Le R.S.A. e gli Enti del Terzo Settore
L’esperienza del coronavirus impone una rilettura in campo sanitario, non solo per riaffermare il ruolo del pubblico, ma soprattutto rivedere la sanità nell’ambito territoriale, non lasciando sprovvisti di presidi sanitari interi territori, ed avviando delle riforme nella gestione.
Nel caso delle Residenze per gli anziani è necessario che la sanità pubblica le gestisca direttamente o con un diverso supporto privato, per alzare il livello dell’assistenza sanitaria e per pensare e attuare nuovi e più evoluti metodi di cura di tanti anziani. Il privato non deve essere escluso ma ridimensionato e integrato, introducendo più elevati livelli di vigilanza e una maggiore trasparenza negli accreditamenti. Tutto ciò vale non solo per le residenze per gli anziani, ma anche per le altre RSA.
Abbiamo assistito in questi giorni all’ecatombe avvenuta nelle varie residenze sanitarie assistite per anziani di tutta Italia, in primis al Pio Albergo Trivulzio. Di fronte all’avanzare micidiale del contagio, che era risaputo avrebbe colpito soprattutto i soggetti più deboli, si dovevano mettere in sicurezza innanzitutto le RSA per anziani e il loro personale. Sembrerebbe che questo non sia avvenuto. Per incapacità e incompetenza di chi le dirige? Dei pochi fondi a disposizione? Del poco personale a disposizione?
Si pone pertanto il problema della gestione delle RSA per anziani, ma delle RSA in genere, occorre ridiscutere il modello organizzativo e di funzionamento.
Sono d’accordo con il governatore della Toscana Enrico Rossi che afferma “In quasi tutte le Regioni compresa la sua a fallire è stato soprattutto il privato e gli istituti, scollegati dal servizio sanitario pubblico, che sugli aspetti sanitari si sono dimostrati troppe volte sostanzialmente inadeguati”. Bisogna però riconoscere che anche le Regioni hanno affrontato con ritardo il problema del Covid 19, e per troppi anni sono state poco attente a quanto accadeva in queste strutture.
Si impongono innanzi tutto dei controlli di qualità, non solo dell’adeguatezza della struttura, delle attrezzature sanitarie disponibili ma anche del giusto rapporto tra medici, infermieri e personale assistito, anche perché il sistema è a carico per il 50% del sistema sanitario nazione e il restante 50% a carico del comuni con la partecipazione dell’utenza e quindi i soldi pubblici devono essere ben amministrati.
Una delle soluzioni per migliorare il servizio ma anche per contenerne i costi a carico della sanità pubblica è di coinvolgere gli Enti del Terzo Settore, che non operano in base ad una concessione ma per virtù di un riconoscimento da parte dello Stato che permette loro di operare anche per un Ente pubblico
Tale inserimento bypassa il welfare statale, che è finanziato dalla fiscalità generale, e introduce un welfare societario, in cui il cittadino ha il diritto – dovere di impegnarsi per il raggiungimento del fine sociale, anche mediante l’utilizzo di capitali di soggetti privati che vogliono contribuire all’utilità pubblica. Enti che in campo socio-sanitario per l’accreditamento dovranno avere come requisito indispensabile l’applicazione al loro interno della legge 231/2001 dotandosi di un modello organizzativo volto a prevenire la responsabilità penale degli enti, la massima trasparenza nella gestione, la chiarezza organizzativa e la cultura dei rischi e dei controlli.
Il presupposto dell’utilizzo degli Enti del Terzo Settore è la considerazione che lo Stato non è più in grado di rispondere, da solo, a tutti i bisogni che emergono dalla società, in particolare nel sistema socio sanitario i cui costi nei prossimi anni tenderanno a lievitare enormemente per migliorare di molto la qualità e produrre le necessarie riforme. Le ragioni di questo aumento di costi sono tante: rivedere, e riorganizzare come già accennato, la sanità nell’ambito territoriale, acquisto di attrezzature sanitarie innovative, fronteggiare l’invecchiamento della popolazione, con l’aumento della non autosufficienza, la diminuzione delle nascite, la richiesta di nuove tutele, aumento degli operatori sanitari e la loro giusta retribuzione.
In questa prospettiva gli Enti del Terzo settore riconosciuti ed accreditati sono elementi indispensabili e necessari; la legge mette a disposizione delle agevolazioni fiscali per invogliare i privati a devolvere i loro capitali e la possibilità di vedersi assegnati gli immobili non utilizzati o sequestrati alla mafia. Bisogna però che per quanto riguarda l’assegnazione degli immobili vi sia una consapevolezza anche da parte dell’Ente pubblico, che li stima in bilancio a cifre fuori mercato, solo per far quadrare i conti, e che tale impostazione contabile di fatto diventa un fattore ostativo.
Abbandonerei le modalità di assegnazione tramite gara, volta sempre ad abbassare il costo a scapito della qualità del servizio, con meno sicurezza, condizioni di lavoro non ottimali, meno innovazione; troppi casi di cattiva gestioni sono venuti alla ribalta delle cronache di questi ultimi anni per capire che non è il percorso migliore. In futuro Regione e ETS dovranno individuare le necessità, metteranno a punto un progetto che viene affidato all’ETS che ha partecipato alla progettazione. Oppure si esamini i progetti delle varie ETS, facendoli giudicare da un ente terzo e si proceda all’assegnazione della più soddisfacente soluzione. La collaborazione trova il presupposto nelle diverse disposizione di legge (L. 328/2000 e d.p.c.m. 30 marzo 2001).
Gli utenti, serviti dal privato sociale, devono avere la massima garanzia sotto il profilo della qualità delle prestazioni e della sicurezza, stesse cose valgono per il personale dipendente, aprire inoltre ad una forte dose di volontariato, per lo meno per i servizi meno impegnativi, il tentativo è di alzare la qualità del servizio. Importante per gli Enti pubblici controllare ed affiancare i soggetti assegnatari.
Questa nuova dimensione organizzativa è indispensabile se vogliamo che il sistema sia sostenibile entro pochi anni, e il privato sociale deve fare interamente la sua parte.
Vorrei fare un auspicio, come descritto nel progetto sociale, sarebbe positivo se riuscissimo per gli anziani autosufficienti e senza gravi patologie, bypassare le RSA, e trovare una sistemazione socialmente più efficace per farli sentire ancora integrati e non isolati: vicinato con i parenti prossimi; vita nelle proprie case con servizi di assistenza condivisa (infermiere di quartiere, portierato diffuso, medici specialisti, assistenza a basso costo di artigiani ecc.) servizi utili anche alle famiglie bisognose e ai disabili di ogni età, o edifici per loro pensati con un massimo di 15/20 anziani che vogliono vivere in comunità, con retta che tiene conto della pensione percepita e della situazione economica. Ognuno con la propria camera, con bagno e un piccolo disimpegno con poltrona e TV, arredata magari con alcuni mobili di sua proprietà, con servizi in comune sala ristorante/bar, salette TV, palestra, con spazi all’aperto e personale specializzato, e il medico che ogni settimana, o alla bisogna passa presso la struttura, con materiale medico sanitario e di pronto soccorso a disposizione, convenzioni con ditte artigiane per mantenere l’efficienza della struttura. Strutture ben raccordate con i centri di interesse, per consentire facili uscite per lo svago e le compere.
*Contributi di Michelangelo Guzzardi, Dario Coen, Raffaele Minelli, Gabriele Gandelli
SANITA’
Rilanciamo con forza l’idea di un territorio urbano fornito di Centri sanitari ragionevolmente dimensionati e realizzati nei Distretti della città, che siano soprattutto, in grado di dare risposte alla cura di patologie meno gravi, con brevi attese, ma rimodulabili rapidamente in caso di emergenze il riferimento è alle Case della Salute (normate dal Decreto Commissario ad Acta n. U00040 del 14.02.2014) per offrire ai cittadini un’unica sede territoriale di riferimento “assicurando la gran parte dell’offerta extra-ospedaliera del Servizio sanitario nazionale”. La Casa della Salute è la struttura modello da imitare nei comuni di Roma e del Lazio, quale doverosa risposta a un servizio assistenziale per chi non ritenga o non riesca a rivolgersi direttamente a un pronto soccorso.
Dovrà contenere almeno alcuni servizi sanitari: reparto di radiologia, una piccola sala chirurgica per piccoli interventi, orario di funzionamento h24 per garantire assistenza per i casi urgenti, agendo così da filtro con la rete ospedaliera, diabetologia, centro dialisi, assistenza per i malati di Alzheimer.
Non devono essere necessariamente tutte uguali, poiché è indispensabile che rispondano a un modello flessibile, capace di adattarsi alle caratteristiche delle diverse patologie ed esigenze territoriali una rete organizzata secondo schemi ad alta flessibilità anche per le esigenze sanitarie emergenti, come nel caso dell’attuale.
*Contributi di Piergiorgio Tupini
PATRIMONIO IMMOBILIARE
Si dovrà elaborare una strategia complessiva di mantenimento, di recupero, di implementazione e di eventuale vendita del patrimonio non strategico.
Per gli immobili che vengono utilizzati dall’Amministrazione Comunale per lo svolgimento delle proprie funzioni dovrà essere privilegiata la detenzione in proprietà e pertanto eventuali immobili detenuti in locazione dovranno essere rilasciati, previa individuazione o di immobili da acquisire o da costruire.
Per gli immobili destinati a soddisfare la domanda di edilizia residenziale dovranno essere accertate la vetusta, l’efficienza e lo stato occupazionale al fine di individuare le necessità di adeguamento dei complessi immobiliari sia dal punto di vista manutentivo e di sicurezza, sia dal punto di vista dell’efficienza funzionale degli stessi.
La gestione delle procedure di assegnazione e controllo, dovrà essere del tutto ripensata con finalità di regolarizzare l’utenza avente diritto. Un ulteriore incisiva azione dovrà essere destinata ad evitare occupazioni abusive e l’utilizzo in maniera illegale. Questo si lega con quanto proposto da Michelangelo Guzzardi con la costituzione di una struttura di sorveglianza di zona.
Per quanto riguarda gli immobili utilizzati per fini sociali, culturali e sportivi va innanzitutto previsto un aggiornamento del censimento dell’esistente al fine di verificarne lo stato (manutentivo e di sicurezza) e soprattutto la dimensione quantitativa e qualitative in funzione dell’esigenza e della domanda di servizio.
Nell’ambito dello sviluppo il primo bacino di disponibilità a cui attingere dovrà essere quello degli immobili confiscati per i quali dovrà essere, quanto prima possibile, messa in campo un attività finalizzata al loro riutilizzo che ne eviti la decadenza e il degrado.
Per terminare ci saranno gli immobili che vengono destinati a scuole e plessi scolastici, la prima attività da svolgere relativamente a questo patrimonio e quella relativa a garantire le dovute condizioni di sicurezza e decoro.Procedere poi ad un’analisi sull’offerta erogabile negli spazi disponibili sia nell’attuale conformazione che nel loro ripensamento in chiave moderna e capire se è necessario una potenzialità delle singole strutture in base alla domanda,
Per realizzare al meglio quanto descritto si dovrà procedere alla ricerca delle necessarie risorse finanziarie. Innanzitutto la corretta gestione dei costi, l’abbattimento dei canoni di locazione passiva, la massimizzazione degli affitti attivi con la salvaguardia di quelli di natura sociale e la messa a reddito del patrimoni sfitto. Attivare un programma di disinvestimento del patrimonio non strategico degli Immobili di proprietà non ubicati nel territorio del Comune di Roma, degli immobili confiscati per i quali la trasformazione ai fini sopra citati non è conveniente, degli immobili inefficienti e di vecchia concezione, previa individuazione di solide alternative per l’utenza che ne usufruisce.
COMUNE DI ROMA – PARTECIPATE E PATRIMONIO IMMOBILIARE
PATRIMONIO
Il patrimonio del comune di Roma è costituito principalmente da:
Immobili detenuti in Proprietà
Immobili detenuti in Locazione Passiva
Immobili Confiscati
Plessi Scolastici
Altri immobili Istituzionali
Vista la natura, l’ubicazione e le caratteristiche dei singoli beni immobili, la strategia di gestione e valorizzazione del Patrimonio dovrà essere necessariamente diversificata in funzione della Segmentazione dello stesso, privilegiando la soddisfazione delle necessità sociali, senza trascurare però il mantenimento del loro valore nel tempo e la possibilità di accrescimento dello stesso attraverso una gestione accurata e puntuale che tenga conto del loro potenziale inespresso secondo le due principali finalità individuate:
Soddisfazione delle Esigenze Sociali della Città
Mantenimento/Accrescimento del valore
In generale, nell’ambito dell’implementazione della strategia dovrà essere posta particolare attenzione:
all’adeguamento e messa a norma del patrimonio
all’efficientamento dei costi di gestione
ad un quanto più possibile abbattimento dei canoni di locazione passiva
alla massimizzazione dei canoni di locazione attiva (prevalentemente per gli immobili conferiti a terzi per scopi di versi da quelli di natura sociale)
alla messa a reddito del patrimoni sfitto
alle politiche di reperimento delle risorse finanziarie da utilizzare per gli investimenti necessari a migliorare l’offerta del patrimonio da utilizzare per l’edilizia sociale; anche attraverso strumenti finanziari che possono prevedere la partecipazione di soggetti pubblici e privati Istituzionali
PARTECIPATE
Il portafoglio delle Aziende Partecipate dal Comune di Roma consta alla data di ben 14 Società detenute, direttamente o indirettamente, in varie percentuali di proprietà che oscillano dal 100% al 6,72% (vedi allegato).
Nell’indirizzo tracciato da quella che doveva essere la riforma Madia del 2018 e del piano di riforma delle aziende pubbliche del 2014 di Carlo Cottarelli, ex commissario alla spending review, sarà in prima analisi indispensabile valutare con attenzione quelle che sono le partecipazioni strategiche e necessarie per Il Comune di Roma e quelle che invece non rientrano da queste ultime e che quindi possono essere immediatamente alienate.
La logica di selezione che ne determinerà la detenzione dovrà tenere conto della produzione di servizi di interesse generale e/o di gestione di opere pubbliche eliminando quelle che invece sono scatole vuote con più amministratori che dipendenti e fatturati medi irrisori se non addirittura in perdita.
L’unico scopo dovrà essere quindi quello di mantenere solo le partecipate pubbliche che servono, mentre saranno eliminate quelle che sono state utilizzate come un ammortizzatore sociale e non per dare risposte ai cittadini.
Per tutte le partecipate che alla luce dei criteri sopra esposti saranno ritenute effettivamente Strategiche per il Comune si dovrà prevedere un piano di risanamento e miglioramento sia dell’offerta che della qualità dei servizi resi.
Tale piano dovrà essere basato su azioni di efficientamento delle Strutture di Governance e Operative senza escludere a priori una diluizione da parte del Comune nella percentuale di partecipazione ancorché dovrà esserne mantenuto il controllo degli indirizzi strategici da perseguire nell’interesse della Città e dei Cittadini.
Una politica di revisione della Governance che preveda l’ingresso nel capitale Sociale di soggetti Istituzionali Pubblici e Privati e perché non in parte anche di una azionariato retail; i Cittadini Romani, garantirà quindi il reperimento sul mercato di risorse economiche fresche da utilizzare per attuare:
una completa revisione dei modelli di gestione delle singole aziende in funzione del loro specifico scopo
politiche di investimento volte ad implementare i modelli di gestione ripensati
politiche motivazionali, di formazione e di innesto delle risorse che dovranno operare all’interno delle Aziende
Contributo di Alberto Panfilo
MOBILITA’ E ECONOMIA SOSTENIBILE
Il Covid-19 comporta e comporterà enormi problematiche di ogni genere, soprattutto di natura economica, ma ci sta facendo assistere a scenari irripetibili che potrebbero o meglio dovrebbero essere fonte di attente riflessioni. Roma e le altre città deserte e senza auto ci offrono un quadro che sarebbe delittuoso sfregiare tornando al caotico e pestilenziale traffico urbano che ruota prevalentemente sull’utilizzo dell’auto privata, spesso utilizzata da un singolo viaggiatore, per non parlare del crollo delle polvere sottili.
Pensando al futuro, ricordiamo che il 75% del PIL mondiale, entro il 2030, sarà prodotto da megalopoli che dovranno essere smart per generarlo ed essere destinatarie degli enormi finanziamenti finalizzati alla rigenerazione urbana. Se Roma non sarà smart, i flussi della finanza globale la emargineranno, con le ovvie conseguenze.
Riqualificazione dei centri storici, recupero di aree dismesse e vuoti urbani da riempire, rigenerazione dei quartieri residenziali e soprattutto delle periferie, multi-mobilità sostenibile, sono tutti elementi necessari per un progetto di città qualificato e qualificante.
Lavorare da casa o in remoto sta facendo capire che l’efficienza può essere la stessa se non superiore al lavoro svolto dall’ufficio perché si evitano spostamenti, ritardi, difficoltà di organizzare le rispettive agende e si guadagna una enorme quantità di tempo.
Sicuramente un passaggio ineludibile sarà rappresentato dalla mobilità che oggi rende operare a Roma assurdamente defatigante.
Casa, ufficio, scuole dei figli, spostamenti, vengono analizzati quali elementi cruciali per scegliere ove allocare la sede aziendale. Roma è oggi seconda solo a Bogotà per il tempo trascorso in auto. Ciò porta le aziende, in specie quelle internazionali e di grandi dimensioni, a non scegliere Roma quale sede.
Una mobilità che con il tempo lasci “ai posti di coda” le auto, per privilegiare gli spostamenti con mezzi comuni, non più inquinanti; con mezzi pubblici che si affidino alle rotaie, treni, metro, tram, e ai bus elettici spostamenti attraverso piste ciclabili come stanno realizzando tutte le città del mondo, con biciclette anche con pedalata assistita e piccoli mezzi elettrici. Car sharing con società o anche le stesse case automobilistiche che se ne occupano e le gestiscono.
A Roma nel 2019 ci sono stati 30.000 incidenti stradali con oltre 120 morti, un dato che ci devi spingere ad azzerarlo, lo si può fare solo con una nuova mobilità, che renda il traporto mediante le auto complementare.
La competizione tra metropoli si giocherà su questi fattori e sarà spietata vista la posta in gioco. I green bond hanno superato i 250 miliardi di dollari ed il mercato di questi strumenti finanziari è in grande espansione. Le attività gestite dai fondi socialmente responsabili sono raddoppiate dal 2012, passando da 250 ad oltre 500 miliardi.
Saranno la multimobilità e la micromobilità gli elementi chiave attorno ai quali rivoluzionare gli spostamenti. Pensare a realizzare altri parcheggi e strade ad alto scorrimento e simili infrastrutture è semplicemente fuori luogo.
*Contributi di Gianluca Santilli
URBANISTICA
Come Visioneroma vorremmo che la Politica avesse una strategia chiara dello sviluppo della Città, affinché Roma venga proiettata nel futuro. L’Urbanistica è una delle chiavi di volta per modernizzare la città e darle non solo un volto nuovo tale da farla di nuovo assurgere a capitale mondiale, ma anche per permettere a tutti i cittadini di vivere in luoghi attraenti in cui non solo si riconoscono ma sia insito anche il piacere di frequentarli.
I documenti che seguono l’introduzione, i primi di una serie volta a formare il progetto urbanistico complessivo di Visioneroma, affrontano il tema delle procedure urbanistiche, e sono ad opera di Michele Campisi e Renato Guidi. Due modi di vedere il modo di procedere che sono in antitesi ma con diversi punti in comune.
Li analizziamo brevemente lasciando come il solito ampia libertà di commento e intervento a tutti i soci e simpatizzanti. Per Michele Campisi devono essere predisposti tutti i criteri di garanzia: là dove esistono quelli del Patrimonio Culturale, quelli di una effettiva utilità collettiva e quelli di una loro partecipazione al rinnovamento sostenibile della città. Con il riconoscimento di comportamenti e regole si evitano i conflitti e si recuperano i valori condivisi. Le istanze delle imprese e delle attività economiche particolari, devono armonizzarsi all’interesse più generale della Comunità col riconoscimento dell’intangibilità dei Beni Comuni. Necessario inoltre prevedere modelli di sviluppo sostenibile perché moltissime disfunzioni attuali discendono dal disordinato modello di crescita. Le attività produttive non possono pretendere l’assoluta libertà delle azioni che si racchiudono nel diritto del Fare. L’apparato burocratico delle istituzioni è stato spesso delegittimato per favorire la “mano libera”, ed invece gli uffici a fronte di un modello di sviluppo urbanistico, devono saper gestire velocemente e con efficacia la concessione dei diritti. A fronte di discipline complesse ed estese è necessario recuperare le necessarie funzioni di sorveglianza e tutela degli uffici delle Soprintendenze.
A nostro parere le attuali regole non sono funzionali ad uno sviluppo ordinato e controllato, andrebbero riscritte per superare le pastoie e le lentezze burocratiche e i poteri di interdizione che spesso fanno naufragare i progetti, anche i migliori. Regole che abbiamo in cima la salvaguardia assoluta del patrimonio artistico monumentale ma anche il suo allargamento con quei tesori che si trovano abbandonati nelle periferie romane. Proprio l’inadeguatezza, la complessità e spesso l’incertezza delle regole produce il sistema del silenzio-assenzo che propugna Renato Guidi. Che giudica la crisi dell’attività edilizia privata, ma anche quella pubblica principalmente per tre elementi: tempi troppo lunghi per il rilascio dei titoli necessari per costruire; incertezze sull’interpretazione di molte norme e mancanza di coordinamento tra Comune e Municipi; infine tassazioni troppo elevate. A dimostrazione di ciò elenca innumerevoli progetti o intendimenti urbanistici e non fermi da innumerevole tempo.
Superare queste difficoltà non basta serve la volontà di assecondare tutte le prescrizioni necessarie per una corretta sostenibilità ambientale, il risparmio energetico, la resilienza e la decarbonizzazione dovranno essere i principi da perseguire nelle progettazioni e nelle realizzazioni. Necessità di realizzare “un programma strategico” per Roma che si possa concretizzare nel tempo e la politica in questa fase si dovrà servire di un “City manager” e di un tavolo di professionisti, al fine di coordinare e individuare soluzioni tecnico normative necessarie per la semplificazione delle procedure urbanistiche ed edilizie che dovranno essere accompagnate da incentivi economici.
In attesa di riscrivere le regole In questa fase sarà necessario che i Ministeri, la Regione e il Comune concertino, dove non applicato l’istituto del silenzio/assenso entro 60 gg condizionato ad altri eventuali 60 gg qualora ci fossero state comunicazioni dell’ufficio nei tempi. Sarà opportuno inoltre, estendere al procedimento SCIA onerosa, anche i progetti che prevedono il cambio di destinazione d’uso con la demolizione/ricostruzione, l’aumento di SUL e modifiche planovolumetriche dando al professionista, che dovrà avere almeno 10 anni di professione, la totale responsabilità di rispetto alle norme vigenti.
Per tutti gli altri atti (diretti o indiretti) si dovranno limitare nel tempo i rilasci dei Permessi a Costruire: Permesso di Costruire dovrà essere rilasciato entro 180 gg da quando sarà completo di tutti i pareri e nulla osta necessari per i quali gli uffici addetti avranno un limite di 60 gg per il rilascio oppure si applicherà il silenzio/assenso come precedentemente indicato; Procedure urbanistiche e PdC indiretti dovranno essere convenzionati entro 360 completo di tutte le delibere, pareri e nulla osta necessari.
Saranno necessari dei benefici economici quali: almeno per i primi cinque anni venga applicata una riduzione pari all’80 % alla tassa denominata della “Bucalossi”. La stessa riduzione dovrà essere applicata sugli oneri urbanistici spettanti il cambio di destinazione d’uso degli edifici esistenti, sia tramite demolizione/ricostruzione che ristrutturazione. Per questi 5 anni dovrà essere abolita la tassa relativa all’occupazione del suolo pubblico da parte di cantieri e ponteggi ai quali si dovrà dare anche la possibilità di affittare a spazi pubblicitari per la struttura.
La necessità di riscrivere le regole è sentita ed auspicata da entrambi gli autori, e ambedue si augurano un nuovo e moderno modello di sviluppo urbanistico. E’ nell’attuale fase che le proposte divergono, vediamo se attraverso gli interventi riusciamo a predisporre un modello condiviso.
PERIFERIE
Periferie romane – la grande esclusione sociale
Questo intervento ha il solo scopo di sollevare la tematica delle periferie e avviare sull’argomento una riflessione tra tutti noi che ci possa portare ad individuare una visione complessiva del problemi e le varie soluzioni con tempi e modi diversi da mettere in atto.
Per capire le difficoltà della periferia romana è necessario ripercorrere brevemente un po’ di storia dello sviluppo della Capitale d’Italia. Fino all’avvento del fascismo Roma ha avuto uno sviluppo pianificato con piani regolatori ben fatti e ben eseguiti, con la giusta dimensione e su vari quadranti della città. Nel ventennio fascista il centro della città fu interessato da lavori, con la volontà di dare rilievo ai monumenti dell’antica Roma (via dell’Impero e Piazza Augusto Imperatore, oppure eliminare la spina di Borgo con il compito di valorizzare San Pietro, togliendo però gli effetti prospettici voluti da Gian Lorenzo Bernini, tutto ciò determinò il trasferimento di popolazione e di attività artigiane, collocandoli in decine di Borgate (ormai quasi tutte inglobate nella città) espandendo moltissimo il tessuto cittadino.
Ma è la fase del dopoguerra che incide in maniera negativa e catastrofica sullo sviluppo di Roma; la grande immigrazione, l’incremento demografico non sono stati adeguatamente gestiti e il fallimento del piano regolatore del 1965 (SDO) – un modello chimerico di sviluppo urbano che non trova il sostegno delle forze economiche della società e si impantana sugli espropri, tra l’altro non prevedendo linee di trasporto pubblico di massa-, ha completato il disastro dello sviluppo della Capitale. Lo sviluppo disordinato dagli anni 50 agli anni 70, in cui sono stati costruiti decine di migliaia di alloggi, consumando migliaia di ettari dell’Agro Romano in maniera abusiva senza un controllo pubblico, sotto la spinta dell’imponente immigrazione proveniente dal centro e sud Italia, ha fatto sì che più di 750.000 abitanti vivevano in una città costruita senza alcun piano e criterio. Di fatto in quegli anni l’edilizia aveva tre interpreti, lo stato con l’edilizia pubblica (che ha creato per la maggior parte ghetti residenziali), i privati con il loro patrimonio di aree edificabili e l’abusivismo; tutto veniva edificato senza servizi e infrastrutture, il bisogno primario da soddisfare era la casa. Certo col tempo, lentamente, si sono realizzate le opere pubbliche essenziali ed oggi la dotazione dei servizi primari è completata al 99%.
Negli anni successivi le giunte di sinistra hanno dato casa a tanti lavoratori ed abitanti bisognosi, con il lancio delle cooperative edilizie e la costruzione di enormi complessi residenziali come Corviale e Laurentino 38. Nel decennio successivo alle giunte di sinistra si sono alternati sindaci di pentapartito e commissari straordinari, che non hanno messo in atto soluzioni efficaci per alleviare il disagio degli abitanti delle periferie. Nel frattempo ain conseguenza degli scandali di mani pulite, i partiti politici furono messi a soqquadro, e a seguito della crisi della pubblica amministrazione e della privatizzazione delle aziende pubbliche, vi fu una contrazione della spesa pubblica, uno dei motori principali dello sviluppo della città. Per contrastare questa evoluzione negativa e cercare di rammendare il tessuto tra il centro e la periferia, il sindaco Francesco Rutelli aveva lanciato il “Modello Roma” un grande programma di rilancio della città intraprendendo una serie di azioni per trasformare la città, cercando di renderla attrattiva per il turismo di massa, per la finanza, per la cultura, per la ricerca e per i nuovi servizi informatica in testa, e dotandola di nuove tecnologie.
Un importante freno al dilagare della formazione incontrollata di insediamenti urbani fu la destinazione di più del 50% del territorio comunale ad aree verdi e agricole, cancellando previsioni edificatorie per quasi 60 milioni di metri cubi. Opere innumerevoli e sotto gli occhi di tutti, hanno toccato sia le zone centrali della città sia quelle periferiche e rimangono ad oggi gli ultimi grandi interventi effettuati a Roma.
Questi interventi hanno compensato il decrescente ruolo pubblico, tanto che abbiamo assistito ad una rapida crescita del PIL e del reddito pro capite, addirittura alla fine del secolo la Confindustria dipingeva Roma come la terza città industriale d’Italia, per via della forte realtà industriale costituita da aziende medie e medio-piccole, che si era sviluppata intorno ad alcuni poli di sviluppo, come la cosiddetta Tiburtina Valley, e di aziende del settore alimentare, e di altri importanti poli industriali presso il Parco dei Medici, Santa Palomba e altre zone sparse intorno al GRA e lungo la Roma Fiumicino. Questa presenza industriale affiancava di diritto il trinomio costruzioni-commercio-turismo. La città viveva una rinascita sorprendente con una diffusa crescita economica che non ha però attenuato le disuguaglianze tra centro e periferia, perché propagata in maniera difforme tra i diversi municipi e tra i vari ceti. Nel contempo alla grande espansione della periferia romana, non ha fatto seguito una disponibilità di servizi, di beni comuni, di infrastrutture portando ulteriori squilibri in termini economici, di sviluppo umano e tra quartieri. L’emergenza abitativa, nonostante i notevoli impegni degli assessori che si sono succeduti, si è attenuata ma non risolta, anche per le difficoltà connesse alla gestione dell’ATER, azienda che andrebbe ripensata integralmente, il mancato completamento dei servizi, mobilità in testa ma anche di assistenza a i più deboli non ha risolto l’emarginazione della popolazione. Poi la profonda crisi ha ridimensionato pesantemente tutte le attività economiche della capitale. Molte imprese se ne sono andate altre hanno ridotto la loro attività, il settore del commercio è entrato in enorme difficoltà, mentre il settore delle costruzioni è caduto in una crisi profonda, nel frattempo si è ancora di più ridotta la spesa pubblica. La crisi economica con le conseguenti politiche di austerità ha aumentato a dismisura povertà e disuguaglianze sociali degenerando il tessuto sociale delle periferie con la esclusione parziale o totale alla partecipazione della vita della città. Attualmente ne risente in particolare l’istruzione dei giovani, con una elevata dispersione scolastica non mettendoli in condizione di cogliere le opportunità, mentre il lavoro precario e la disoccupazione hanno picchi elevati rispetto al resto della città. Questi aspetti si trovano anche in zone degradate del centro di Roma, ma non hanno la stessa ampiezza; i problemi di ordine sociale ed economico sono concentrate nelle periferie che sorgono intorno o fuori il GRA e in tutto il quadrante in particolare i Municipi IV, V e VI, oltre ad alcuni quartieri più centrali con caratteristiche peculiari come l’Esquilino, che di conseguenza hanno indici di disagio sociale superiori alla media romana. Tale contrasto non è peculiare di Roma ma è proprio di tutte le grandi città italiane, però nella capitale è più considerevole per via della vastità del territorio comunale, 1287 Km e per il numero di abitanti oltre 2.870.000. A tutto ciò si è aggiunta la presenza dei centri di accoglienza in alcune zone di periferia.
La giunta Raggi ha perso un occasione con la legge di stabilità 2016 che ha istituito il “Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie”, in cui era previsto anche il coinvolgimento dei cittadini, del Terzo Settore, le comunità ed associazioni presenti nel territorio. Roma Capitale ha affrontato e aderito al bando mediante la gestione dei soli Dipartimenti interessati (Urbanistica e Periferie), quasi nulle le richieste dei Municipi. Gli Uffici Amministrativi hanno valutato i progetti disponibili e fatta una scelta senza una visione strategica complessiva e senza il coinvolgimento dei cittadini associazioni ne tantomeno del Terzo il settore.
La Giunta ha messo in atto una serie di interventi diffusi nelle varie zone periferiche, invece di elaborare un progetto teso a sviluppare una politica strutturata per la complessiva riqualifica delle stesse. Ma la mancanza di visione strategica dei 5Stelle si riscontra anche nella mancata utilizzazione della quota del 5% delle risorse dell’investimento per la predisposizione di piani urbanistici, piani della mobilità e studi di fattibilità, ed ha portato a minimi interventi settoriali di riqualificazione, privilegiando la manutenzione e il recupero di situazione di piccolo e medio degrado. Interventi positivi e finanche necessari, ed anche ben strutturati ed esteticamente validi, ma che dimostrano i limiti di questa amministrazione, che non è stata in grado, anche per i continui cambi di assessori di creare un modello di politica complessiva, che disegnasse un progetto sulla città e in particolare sulle periferie. Le periferie sono rimaste periferie.
Un altro problema irrisolto, in particolare nei quartieri in cui è presente massicciamente l’edilizia residenziale pubblica (Corviale,Tor Bella Monica, Laurentino, Vigne Nuove), non essere stati in grado di assicurare adeguati standard di sicurezza e di manutenzione generando il naturale degrado degli stabili che aumenta inevitabilmente il disagio sociale ; ed è in quelle zone in particolare che sono nate le rete di associazioni attive sul territorio che hanno reso vitali le periferie; tanto da sopperire, in taluni casi all’assenza delle Istituzioni.
Alla luce di quanto detto tutti noi abbiamo la certezza che il problema deve assolutamente essere affrontato e radicalmente risolto, perché questi territori sono diventati delle vere polveriere, e i giovani spesso cadono nelle mani della criminalità. Basta farsi un giro per Tor Sapienza, Corcolle, Tor Bella Monica, Tor Cervara, Settecamini, Torre Angela, Ponte di Nona ma anche per Esquilino, per vedere abitanti sfiniti di muoversi in terre di nessuno, che reclamano servizi, che si rintanano nella notte nelle case per sfuggire alla delinquenza, l’insofferenza e la rabbia è diffusa e se ai tessuti sociali esausti si somma la difficile gestione dei centri di accoglienza, la corda prima o poi si spezza e la rivolta come il solito sarà cavalcata dalla destra come già è avvenuto a Tor Sapienza nel 2014.
Quali interventi effettuare per il risanamento del tessuto sociale attraverso opere ed interventi risolutivi che rendano vivibili ed attraenti la periferie in cui gli abitanti si identifichino nel luogo in cui vivono? Bisogna creare un modello multipolare policentrico, con efficienti sistemi di trasporti., servizi adeguati per rendere vivibile il territorio in tutte le ore del giorno. Nell’opera di rigenerazione delle periferie va coinvolta la classe imprenditoriale, e con essa anche capitali privati, in quanto le risorse economiche saranno rilevanti soprattutto in progetti di medio e lungo periodo. Impensabile farlo solo con i soldi pubblici. Coinvolgere anche le persone che vivono nelle periferie, capaci di iniziative artistiche e culturali, di progettazione partecipata, di recupero degli spazi abbandonati, perché dimostrano che sono momenti di creazione di politica e di cultura politica; vanno ascoltate proposte che vengono dai cittadini e dalle associazioni di categoria, che danno la misura delle necessità e delle difficoltà e talvolta anche delle soluzioni (sono già previsti Contratti di quartiere e Laboratori territoriali). Bisogna avere il coraggio di riqualificare il tessuto abitativo con manutenzioni risolutive e costanti e soprattutto nelle zone di proprietà pubblica, prevedere ove il caso la sostituzione edilizia, ridisegnando l’assetto urbano dell’intero ambito per creare servizi, luoghi di aggregazione e verde, ed armonizzando ed inserendo in questo disegno anche le aree archeologiche presenti, cercando di creare una possibile offerta culturale. Demolendo edifici pubblici e non di ridotto o nullo utilizzo, creando spazi verdi e di servizi, ricostruendo con la stessa volumetria i necessari nuovi edifici pubblici ma soprattutto edifici residenziali, per far fronte all’esigenza abitativa. Da fonte Confedilizia sono 57.000 le famiglie in emergenza abitativa, sono necessari circa 1500 unità all’anno per far fronte alle richieste, è necessario, pertanto, riprendere a costruire abitazioni popolari, magari recuperando e ristrutturando manufatti abbandonati, e prevedendo nuovi insediamenti residenziali. Fino agli ’80 i comuni italiani Roma in particolare facevano affidamento sui patrimoni delle Banche e sopratutto delle Assicurazioni (asset una volta obbligatori a copertura delle riserve matematiche), decine di migliaia di appartamenti erano presenti nei portafogli, oggi tutti o quasi venduti e il ricavato non è stato reinvestito in immobili e poi con fine del mercato cooperativo, sommerso da truffe e raggiri sono spariti validi supporti al settore abitativo. Necessita quindi una politica organica dell’edilizia pubblica e privata che dovrà coprire le richieste abitative, anche per fronteggiare ed eliminare le occupazioni abusive. Infine non creare più quartieri dormitorio e vitalizzare quelli presenti.
Tutti gli interventi urbanistici, come già indicato, devono essere affiancati da un paesaggio che valorizzi le aree archeologiche, le aree verdi e operare, dove serve, una riqualificazione ambientale; il paesaggio deve essere ben armonizzato anche per renderlo gradevole ed accogliente. Gli interventi che devono essere intrapresi sono ben presenti da parte dell’Amministrazione Comunale, da Architetti, Urbanisti ed Associazioni Imprenditoriali, perfino con proposte operative. Si conoscono le opere da intraprendere e le criticità da affrontare municipio per municipio, c’è una ampia letteratura sulla riqualificazione delle periferie, si tratta di trovare una sintesi ed operare. Il tentativo inoltre è cercare di invertire la tendenza di costruire orizzontalmente, metodo che ha consumato grande quantità di territorio.
Quando si parla di servizi un aspetto importante riveste la mobilità. Si è sempre ragionato , e non solo a Roma, in termini settoriali, l’urbanistica non è mai andata di pari passo con la mobilità e i traporti, i secondi hanno sempre rincorso la prima, in presenza poi di un abusivismo diffuso arrivavano in grave ritardo. D’altronde l’espansione non coordinata delle periferie ha prodotto che la mobilità e il trasporto inseguivano e tutt’ora inseguono gli insediamenti urbani. Tale mancanza di visione di programmazione tra uso del suolo e trasporti ed infrastrutture ha compromesso le scelte di assetto urbano e territoriale. Un inciso a proposito di programmazione, la nuova centralità della Bufalotta, uffici, centri commerciali, case, piccolo commercio e strutture alberghiere è in corso di attuazione, può essere un causa di pericolo o di nuova opportunità di sviluppo secondo come si raccordi con la città.
Il problema della mobilità e trasporti è complesso, va non solo inserito nel tessuto cittadino ma deve inserirsi in quello ben più vasto dell’Area Metropolitana, integrarsi con gli Aeroporti di Fiumicino e Ciampino e il Porto di Civitavecchia, oltre che con il sistema ferroviario e con tutte le realtà comunali presenti nell’Area. Tutti gli insediamenti periferici abusivi si sono addossati alle reti stradali esistenti e non hanno generato reti di mobilità. Anche il sistema delle metropolitane è in grave ritardo le linee A e sopratutto la B non sono state adeguate, e nemmeno prolungate come si doveva; la linea C non è ancora terminata con il rischio che si fermi ai Fori. Della linea D si sono perse le tracce e non esistono nemmeno altri progetti se non sulla carta. Indispensabile uno ancor più stretto collegamento con le Ferrovie dello Stato per sfruttare la considerevole rete ferroviaria che passa nella città. La linea ferroviaria Termini-Olgiata (sulla linea Roma-Viterbo) è un esempio di come Trenitalia può integrare il servizio mobile urbano, e sopratutto è necessario completare l’anello ferroviario, su cui si potranno inserire altre linee urbane.
Va pertanto ripensato il sistema dei trasporti guardando anche al futuro e all’ecologia , con un occhio alle nuove tecnologie applicate alla mobilità. Cina, Stati Uniti e Germania hanno studi avanzati (direi futuristici) di servizio pubblico ed individuale.
La situazione attuale della mobilità romana penalizza fortemente le zone periferiche quindi è essenziale che ci sia una completa interconnessione, non solo con il centro della città, ma con tutto il tessuto cittadino, in particolare proprio tra periferie. Il mancato diretto collegamento tra le stesse porta ad andare prima verso il centro della città e poi prendere un altro mezzo che va verso il luogo periferico da raggiungere. Tempi biblici, magari per arrivare in un luogo non distante più di 6/7 km si impiega 1 ora e mezza o 2. I collegamenti dovranno sopratutto essere su rotaia, metropolitane di superficie o ipogee, sull’esempio di Berlino.
Ma come si vive nelle periferie romane? I cittadini non si sentono sicuri, nonostante i reati in calo. Gli abitanti hanno il timore dei furti nelle abitazioni, degli scippi, delle intimidazioni e degli atti vandalici; non si sentono protetti. La dislocazione dei commissariati sul territorio di Roma dimostra lo squilibrio tra centro e periferia: quasi tutti concentrati nel centro e quasi assenti nelle aree periferiche. L’insicurezza percepita aumenta man man che ci si allontana dal centro. L’insicurezza ha anche un’altra accezione di natura economico-sociale, ovvero disponibilità di sufficienti risorse economiche per potersi garantire i bisogni essenziali. Pertanto c’è l’immediata esigenza di lavorare su percorsi di integrazione, sul rafforzamento dei servizi sociali e di polizia con lo scopo di livellare le differenze tra zone centrali e periferiche, e diminuire il senso di abbandono istituzionale. Secondo il Capo della Polizia Gabrielli le quattro periferie più a rischio per il loro elevato tasso di criminalità sono San Basilio, Tor Sapienza, Ponte di Nona, Tor Bella Monaca; zone in cui si trovano le piazze dello spaccio, ma anche centrali da cui la droga viene smistata verso le zone della movida, alta presenza di pregiudicati e di piccola delinquenza, oltre ad una forte presenza di extracomunitari, quasi tutti senza lavoro o con lavori precari. Quindi il Capo della Polizia conosce bene la situazione dovrebbe intervenire per rafforzare la presenza della forza pubblica in queste zone con dirigenti e personale di qualità (nelle aziende private il disagio viene pagato), con l’indispensabile raccordo con le autorità comunali e con i fondi necessari.
Tutti questi problemi non sono risolvibili nell’immediato ma necessitano di una presa di coscienza da parte di tutte le Istituzioni. Istituzioni che ben conoscono la situazione in tutti i loro aspetti. Va tutto armonizzato in un disegno strategico, messi da parte i principi ideologici coinvolgendo gli architetti, gli urbanisti, i sociologi ma in primis gli abitanti, le associazioni, le comunità, ovvero coloro che ci vivono o meglio sopravvivono, che meglio di tanti altri conoscono, esigenze e problemi, che spesso li risolvono e che vogliono partecipare e far sentire la propria voce.
Le forze progressiste dovrebbero collaborare con questi cittadini, sopratutto se vogliono di nuovo affrontare e risolvere i bisogni richiesti, abbandonando le sezioni ma vivendo con gli stessi abitanti le problematiche e trovando insieme a loro le soluzioni, da portare poi alle Istituzioni. Anche l’Istituto Nazionale di Urbanistica ha riconosciuto che “va attivato un protagonismo sociale e la costruzione di nuove forme di gestione. Gli attuali processi di trasformazione urbana investono sempre più sul capitale umano puntando all’acquisizione di competenze, di capacità e di saperi che rendono i cittadini e le comunità protagonisti e parte attiva e collaborativa, non solo in fase di proposta progettuale ma anche in quella di gestione e attivazione di energie imprenditoriali in settori innovativi” Se a questo protagonismo sociale non partecipano le forze progressiste sarà la destra, che parla alla pancia della gente ed è la sola presente, a governare in futuro Roma, con gli esiti che immaginiamo.
Al termine di questo scritto vanno poste delle domande che sono rivolte a tutti voi.
- La legge su Roma Capitale così come promulgata dà i necessari poteri, la necessaria autonomia e le sufficienti risorse alla città capitale d’Italia. Una legge che va ripensata?
- L’Area Metropolitana così definita va rimodellata sia nella composizione del territorio che nelle regole? E’ una struttura che va rivista e riempita di contenuti?
- Il decentramento amministrativo va attuato con quali poteri, con quali modalità, con quali risorse? E sopratutto con quale classe politica?
- Nella Visione Strategica del progetto di sviluppo di Roma Capitale, in cui va inserita la problematica delle periferie, andranno coinvolti i centri di eccellenza, di ricerca e di elaborazione. Si pone inoltre come elemento essenziale una classe politica di livello, preparata, con una competenza manageriale, che non risponda a gruppi di pressione. Esiste questa classe oppure bisogna formarla e come? Esiste una via intermedia, ovvero trovato un primo contesto politico di eccellenza, può lo stesso essere il formatore della futura classe politica e dirigente?
- E’ utile e possibile istituire nella città di Roma (scuole superiori od Università) dei corsi o dei piani di studio o addirittura delle scuole specifiche che formino i futuri amministratori della città?
Fulvio Ciocca Abito a monteverde vecchio e domenica ho fatto quattro passi al gianicolo la terrazza su Roma bene mi sono vergognato di essere romano romano de Roma uno schifo di degrado sporcizia e altro cioè è da aprile dell anno scorso che un fulmine colpì una statua di bronzo del monumento a Garibaldi bene è ancora così con le bandane e fare una saldatura ci vuole poco quindi una vergogna poi sul lato destro ci sono due casupole o caravan di gente che magari vendeva ricordini x turisti che fanno veramente schifo e nessuno dice niente da anni ma sembrano baracche e nn so come i vigili nn le possano rimuovere insomma va bene il vs progetto bravi ma una cosa così vergognosa nn l avevo mai vista birre e plastiche x terra nn pulisce nessuno ma questa è Roma?
Anna Caterina Sarebbe utile una metro affianco al GRA con stazioni satelliti alle 30 uscite esistenti, e dopo l’esperienza Covid incentivare lo Smart working e liberare la città dal traffico, i lavoratori e le imprese risparmierebbero tempo e denaro.
Mara Mcolds Perché no il forlanini? È quasi al centro della città perciò comodo da raggiungere, è predisposto per le malattie infettive, ha un bel parco. Purtroppo è molto mal ridotto, però fa anche parte di un gruppo di ospedali e questo aiuterebbe a creare un polo multifunzionale.
Maria Giovanna Rita Cau ha commentato su Facebook : Aiuterebbe molto spostare tutti i ministeri fuori dal centro storico. Creare un centro direzionale unico ed intercluso con accessi sorvegliati, di proprietà pubblica, ben collegati con il trasporto pubblico. I costi di gestione e manutenzione saranno meno dispendiosi, per miglior efficienza energetica e razionalizzazione dei costi per servizi di pulizie, portineria, meno auto blu per spostamenti tra i vari ministeri, meno scorte di sicurezza. Liberare palazzi storici di pregio per ottimizzarne e rendere più proficuo il loro utilizzo. La città ne trarrà sicuramente più vantaggi.
Per la mobilità ritengo debba essere coinvolta Ferrovie dello Stato con il pieno e coordinato utilizzo della sua rete urbana. Ancora per la mobilità, ove possibile, trasformare le stazioni della metro in centri attrezzati di cooworking