AUTONOMIA DIFFERENZIATA DI PIERO SANDULLI

 

 

 

BREVI NOTE IN TEMA DI AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Con il comunicato stampa di giovedì 14 novembre 2024 la Corte Costituzionale ha anticipato la pubblicazione della propria decisione in tema di autonomia differenziata.

Premesso che ritengo che le sentenze (tutte ed in particolare quelle dei giudici della legittimità delle leggi) vadano valutate nella loro interezza e non in base a sintesi, più o meno efficaci, scritte a beneficio dei media, è, comunque, possibile operare alcune prime, sintetiche, osservazioni sul tema delle Autonomie.

La Corte, decidendo sui ricorsi proposti dalle regioni Campania, Puglia, Sardegna e Toscana (in ordine alfabetico e non di presentazione), ha, preliminarmente, affermato la costituzionalità della cosiddetta autonomia differenziata.

Invero, dal giudizio, nel quale erano pure intervenute, ad opponendum, le regioni Lombardia, Piemonte e Veneto (sempre in ordine alfabetico) non avrebbe potuto – a mio avviso – emergere alcuna incostituzionalità del tema, alla luce del terzo comma dell’art. 116 della carta Costituzionale.

E’ necessario ricordare, sul punto, che le modifiche del titolo quinto della Costituzione sono intervenute, con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2021, avallata dal referendum confermativo svoltosi il 7 ottobre di quello stesso anno, ponendo fine ad un lungo e travagliato periodo di riflessione avviato sulla modifica della seconda parte della Costituzione negli ultimi anni del ventesimo secolo.

I lunghi lavori della Commissione bicamerale,presieduta da Berlusconi e D’Alema, infatti non ebbero una conclusione felice, ma portarono, dopo qualche mese dal sul scioglimento, al varo delle sole leggi costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001, le quali, tuttavia, hanno inciso in modo rilevante sul titolo quinto della Costituzione finendo per operare in profondità sull’assetto istituzionale del Paese (vedi, sul punto: AA.VV., La riforma della Costituzione nei lavori della bicamerale, Napoli 2000).

Alla luce di questa prima considerazione, appare evidente, che il sistema delle autonomie avrebbe dovuto, nel tempo, trovare il suo completamento. Analogamente, la modifica contenuta nell’articolo 114, ultimo comma, circa il ruolo di Roma Capitale d’Italia è ancora in attesa di essere pienamente realizzata attraverso la normativa che il terzo comma del sopra richiamato art.114 vuole (vedi, sul punto: B. Caravita, La Costituzione dopo la riforma del titolo quinto, Torino 2002, p. 147).

Operata tale premessa, appare evidente che ciò che era oggetto di analisi da parte dei Giudici della legittimità delle leggi, non poteva essere certamente il tema dell’autonomia regionale, previsto da una modifica della Costituzione, da tempo in attesa di completamento (vedi, al riguardo: AA.VV., Il nuovo titolo V della parte II della Costituzione, Milano 2002), bensì il modello che da tale modifica deriva, idoneo a garantire, ad un tempo,l’autonomia delle regioni ed i principi della unitarietà e solidarietà dello Stato, attraverso un corretto bilanciamento delle contrapposte esigenze. Invero, il comunicato stampa, emesso il 14 novembre 2024, ricorda che “è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni fra Stato e Regioni”.

Il punto centrale, che emerge dal comunicato stampa emesso dalla Corte Costituzionale, ruota intorno alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (L.E.P.) dei cittadini italiani che devono essere attuati con “idonei criteri direttivi”, ai quali il Parlamento non può e non deve restare estraneo, vale a dire che la attuazione della Costituzione non è un fatto di Governo, ma attiene all’intera classe politica (maggioranza ed opposizione).

Ala luce di ciò che è possibile dedurre, dalla lettura del comunicato stampa, che offre limitate suggestioni, mentre sarebbe necessario esaminare le decisioni della Corte nella loro interezza, tenendo conto anche delleimportanti sfumature della motivazione, è possibile affermare che se, da una parte, l’autonomia regionale deve essere garantita alla luce della modifica del titolo quinto della Costituzione (intervenuta 23 anni fa), dall’altra, è necessario garantire la solidarietà e la sussidiarietà attraverso un corretto bilanciamento dei livelli essenziali delle prestazioni, in particolare per quelle attività che implicano la fruizione di diritti civili e sociali di tutti i cittadini italiani.

Infine, qualche riflessione deve essere operata in merito alle reazioni che le parti politiche hanno avuto alla lettura del comunicato stampa. Si sono alzati, dall’una e dall’altra parte, “cori da stadio” che, ben lungi dall’analizzare ed operare costruttivamente, insieme per la soluzione del problema al fine di garantire a tutti i cittadini italiani la fruizione in maniera omogenea dei loro diritti civili e sociali, hanno dimostrato, ancora una volta, l’immaturità e la impreparazione di una classe politica non più abituata a ragionare ed a mediare sui temi essenziali, ma a preferire, alle sofisticate argomentazioni politiche e giuridiche, i toni da stadio.

PIERO SANDULLI

Vicepresidente Visioneroma

 

 

 

Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte costituzionale
Comunicato del 14 novembre 2024

LA CORTE COSTITUZIONALE HA DECISO LE QUESTIONI DI COSTITUZIONALITÀ DELLA LEGGE SULL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

 

In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio Comunicazione e stampa fa sapere che la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata la questione di costituzionalità dell’intera legge sull’autonomia differenziata delle regioni ordinarie (n. 86 del 2024), considerando invece illegittime specifiche disposizioni dello stesso testo legislativo.
Secondo il Collegio, l’art. 116, terzo comma, della Costituzione (che disciplina l’attribuzione alle regioni ordinarie di forme e condizioni particolari di autonomia) deve essere interpretato nel contesto della forma di Stato italiana. Essa riconosce, insieme al ruolo fondamentale delle regioni e alla possibilità che esse ottengano forme particolari di autonomia, i principi dell’unità della Repubblica, della solidarietà tra le regioni, dell’eguaglianza e della garanzia dei diritti dei cittadini, dell’equilibrio di bilancio.
I Giudici ritengono che la distribuzione delle funzioni legislative e amministrative tra i diversi livelli territoriali di governo, in attuazione dell’art. 116, terzo comma, non debba corrispondere all’esigenza di un riparto di potere tra i diversi segmenti del sistema politico, ma debba avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. A tal fine, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni.
In questo quadro, l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini.
La Corte, nell’esaminare i ricorsi delle Regioni Puglia, Toscana, Sardegna e Campania, le difese del Presidente del Consiglio dei ministri e gli atti di intervento ad opponendum delle Regioni Lombardia, Piemonte e Veneto, ha ravvisato l’incostituzionalità dei seguenti profili della legge:
la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie, laddove la Corte ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola regione, alla luce del richiamato principio di sussidiarietà;
il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (LEP) priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del Governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento;
la previsione che sia un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (dPCm) a determinare l’aggiornamento dei LEP;
il ricorso alla procedura prevista dalla legge n. 197 del 2022 (legge di bilancio per il 2023) per la determinazione dei LEP con dPCm, sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla stessa legge per definire i LEP;
la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito; in base a tale previsione, potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni;
la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica;
l’estensione della legge n. 86 del 2024, e dunque dell’art. 116, terzo comma, Cost. alle regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.

La Corte ha interpretato in modo costituzionalmente orientato altre previsioni della legge:
l’iniziativa legislativa relativa alla legge di differenziazione non va intesa come riservata unicamente al Governo;
la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa (“prendere o lasciare”) ma implica il potere di emendamento delle Camere; in tal caso l’intesa potrà essere eventualmente rinegoziata;
la limitazione della necessità di predeterminare i LEP ad alcune materie (distinzione tra “materie LEP” e “materie-no LEP”) va intesa nel senso che, se il legislatore qualifica una materia come “no-LEP”, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
l’individuazione, tramite compartecipazioni al gettito di tributi erariali, delle risorse destinate alle funzioni trasferite dovrà avvenire non sulla base della spesa storica, bensì prendendo a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza, liberando risorse da mantenere in capo allo Stato per la copertura delle spese che, nonostante la devoluzione, restano comunque a carico dello stesso;
la clausola di invarianza finanziaria richiede – oltre a quanto precisato al punto precedente – che, al momento della conclusione dell’intesa e dell’individuazione delle relative risorse, si tenga conto del quadro generale della finanza pubblica, degli andamenti del ciclo economico, del rispetto degli obblighi eurounitari.
Spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge.
La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione, qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale.

Roma, 14 novembre 2024

 

 

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